L’esule mentale

Magritte-UomoAlloSpecchio

(René Magritte, “La reproduction interdite”, 1937)

Da poco ridisceso dalla nuvoletta di soddisfazione e autocelebrazione che mi ha fatto aleggiare per qualche giorno a diversi metri da terra dopo che la prestigiosa rivista Atelier ha pubblicato, nella sua versione online, tre mie poesie inedite, mi guardavo intorno nella speranza di trovare qualche altra scusa per mostrarmi ancora più enfio di quanto già non appaia nell’inclemente primissimo piano di quella pagina (visitatela per crederci).
Ed ecco che l’idea si è presentata, allettante e dotata di una sua innegabile logica interna e di una punta di giustizia poetica: visto che le tre poesie inedite pubblicate da Atelier fanno parte di una piccola silloge di cinque componimenti, munita di coerenza tematica ed espressiva e finanche di titolo omnicomprensivo, Esilienza, perché non pubblicare i due pezzi mancanti sull’autore a pezzi?
Detto fatto: le due poesie che potete leggere di seguito sono gli anelli mancanti della mini-silloge, per la precisione (e per soddisfare l’indole ossessiva dell’autore) la prima e l’ultima. Ad accomunarle tutte è l’idea dell’esilio e dell’espatrio, che è stato anche l’ombrello tematico sotto la cui egida si è svolta la rassegna RESPIROPOETICO 2015, organizzata a Milano per BookCity 2015 dal vulcanico Daniele Pignatelli (regista, videoartista, milanista, agitatore) e da yours truly.
Ma nel caso di Esilienza, titolo che vorrebbe creare un incrocio tra l’ironico e l’immaginifico di “esilio” e “resilienza” (un po’ come, per chi se li ricorda nei loro lontani Caroselli, gli animali misti dei mitici “Amici di Gioele” Biscolussi, che tra l’altro somiglia molto a un certo cognome…), l’esilio/espatrio è tutto mentale, e appartiene a chi, ancora una volta letteralmente “autore a pezzi”, vive lo spaesamento costante dettato dall’avere non una ma due patrie (nel mio caso Milano e la Southern California), e dal sentirsi leggermente “fuori luogo” in ciascuno dei casi. Salvo poi, perché la vita non è altro che questo, accettare il senso di disappartenenza come condizione stessa della propria appartenenza a se stessi.


 

Da Esilienza (2016)

1.

Trascorri il tempo nelle tue sinapsi,
da gennaio a maggio quando è più visibile
anche all’occhio rivolto a se stesso,
vagando lungo le linee di Orione,
California celeste secondo fonti meno parziali
della tua, salutandone le stelle
come vecchie conoscenze dal carattere incostante
e prono all’implosione: Betelgeuse la femmina in mezzo,
Bellatrix la guerriera, Rigel brillante blu-bianca,
e la cintura a suggerire un girovita
che la città dell’insegna in collina
premierebbe con un contratto da tre film –
e quando sfidi Oceano e Crono e sbarchi a Occidente
non dovrebbe destare sorpresa il non vederla
nel cielo d’estate: ne calpesti la copia terrestre,
dovresti saperti accontentare:
ma la cifra dell’esule mentale è la mancanza,
quella fetta di mondo in assenza,
ciò che credi sempre di trovare ma che perdi,
che rimpiangi.

 

5.

È un qui che non è tuo, questo
che sospiri per mesi e afferri
per la coda dell’estate, ogni volta
rischiando che reagisca alla presa
e sguaini artigli di lince nativa:
ti appartiene meno ancora che a coloro
che l’hanno tolto da sotto i piedi coriacei
le pelli stese
i fuochi accesi
i sacri sudori
gli inquieti palomino
di Chumash
Hupa
Mojave
Ohlone
Shasta
Paiute:
e punge ancora la vergogna
come terminale di tortura applicato a parti molli,
esposte alla repressione più crudele,
quella di te stesso su te stesso:
con questo risveglio, dopo un’altra notte di sonno
così lieve che il ghigno lontano dell’opossum
pareva ruggito nell’orecchio medio,
celebra l’esule mentale il suo ritorno.

 

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