Lunedì 10 agosto, sulla Interstate 5 vicino a Castaic, California, il giovane puma noto alle autorità forestali e a una certa parte del pubblico (me compreso) con la sigla P-32 moriva investito da un’auto. P-32, ritratto qui sopra dall’obbiettivo dei ricercatori, era monitorato come tutti gli esemplari della sua specie che ancora vivono e si aggirano per le foreste e le colline intorno a Los Angeles. Era una sorta di celebrità locale per il numero di volte in cui aveva sfidato illeso il traffico, attraversando con sprezzo del pericolo e una buona dose di comprensibile disperazione strade statali e autostrade nel tentativo di riguadagnare a sé un territorio sempre più usurpato dalla nostra notoria invadenza. La notizia, letta qualche giorno dopo il fatto sull’edizione online del Los Angeles Times, mi ha rattristato e impoverito a più di un livello, da quello meramente umano (con relativo senso di colpa) a quello mitologico-simbolico, e ne è scaturita l’elegia che vi somministro di seguito, in cui l’unica licenza poetica che mi sono concesso è stata quella di trasformare l’automobile fatale in un metaforico autoarticolato alla Duel.
So long, my daring, dashing imaginary friend.
Elegia per P-32
Non ti hanno lasciato diventare adulto,
i bisonti della strada lanciati nell’alba
verso il punto illusorio in cui i due lati
sembrano congiungersi dell’arteria
asfaltata che pompa a ciclo continuo
il sangue necessario alla nostra implacabile
avanzata in questa terra non più tua,
quelle duecento miglia quadrate che hai bisogno
di percorrere marcare reclamare
per incrociare il cervo che sostenta
la polla d’acqua che riflette
la foresta di Los Padres che accoglie,
nasconde e parla le mille lingue degli uccelli.
Travolto dall’acciaio lanciato lungo la mediana
che non ti poteva parlare o intimare la pausa,
l’attesa del passaggio di mandria ignota
e immangiabile, hai messo fine
senza neanche saperlo
alla tua epica di scatti e coraggio
di sfide alle cariche di mostri indecifrabili
di bocche lucenti con zanne tutte uguali
zampe nere roteanti
ruggiti costanti e monocordi:
un conto alla rovescia calcolato da nessuno,
nemmeno da coloro che senza sospettarne l’ironia
ti hanno dato una sigla numerica
che sembra appartenere più a un computo stradale
che animale: dalla 118 che valica il passo
di Santa Susana alla 101 di miti non tuoi,
dalla 26 che termina nel nome del pioniere
alla 23 che riconduce al mare
per incontrare la fine sulla 5
che avrebbe potuto incoronarti re dell’asfalto.
Così non è stato, e del mistero e portento
del tuo andare e venire ora non resta
che il percorso, ridicolo al confronto,
di questa penna sul foglio,
di questa nostalgia.